La dieta chetogenica è uno dei protocolli dietetici maggiormente studiati, le prime applicazioni in campo terapeutico risalgono ai primi anni del ‘900. Nel tempo questo regime alimentare è stato e continua ad essere studiato per gli innumerevoli effetti positivi che si riscontrano sia nella riduzione del peso corporeo che nel trattamento di alcune importanti patologie.
Che cosa si intente per dieta chetogenica?
Si definisce chetogenico un regime dietetico capace di indurre e mantenere uno stato di chetosi,ovvero una condizione metabolica nella quale vengano prodotti i corpi chetonici, da utilizzare a scopo energetico.
Il loro principale ruolo è quello di sostituire lo zucchero (il glucosio) come fonte energetica di origine lipidica per il sistema nervoso centrale, che nonostante sia considerato un tessuto “glucosio-dipendente” è però anche in grado di adattarsi all’utilizzo delle riserve lipidiche qualora la disponibilità dei carboidrati venga notevolmente ridotta.
Il punto focale è che la dieta chetogenica ha la particolarità di innescare un vero e proprio reset del metabolismo; l’organismo attiva infatti dei meccanismi fisiologici che gli permettono di funzionare “bruciando” i grassi anziché gli zuccheri, preservando le proteine muscolari e quindi la massa magra.
È pericolosa?
La chetosi, contrariamente a ciò che si può pensare, è una condizione metabolica fisiologica che si instaura normalmente nei casi non patologici, soprattutto durante la dieta chetogenica (a bassissimo o nullo contenuto di carboidrati), durante il digiuno prolungato oppure successivamente all’attività fisica aerobica prolungata (se praticata per un periodo protratto di digiunano o di privazione di carboidrati). Si può quindi parlare di chetosi dietetica (dietary ketosis), di chetosi da digiuno (starvation ketosis) oppure di chetosi post-esercizio (post-exercise ketosis).
Un punto molto importante su cui vale la pena spendere parole di approfondimento è l’errore di scambiare le forme di chetosi fisiologica con le forme di chetosi patologica come la chetoacidosi diabetica o alcolica.
La principale differenza tra chetosi fisiologica e chetosi patologica risiede nella chetonemia, ovvero la concentrazione di chetoni nel sangue. Nel primo caso, la chetonemia non si eleva mai ad un livello nocivo (inferiore a 7-8 mmol/dl), grazie a diversi meccanismi di controllo (feedback) tali da permettere l’ossidazione dei chetoni in eccesso a carico dell’azione insulinica, del sistema nervoso centrale e di altri tessuti extra-epatici. In condizioni di digiuno o di dieta chetogenica la concentrazione di corpi chetonici si stabilizza nel giro di qualche giorno; una parte questi viene quindi eliminata a livello polmonare (alito acetosico) e renale (comparsa dei chetoni nelle urine o chetonuria).
Le forme di chetosi patologica invece, possono essere potenzialmente fatali, poiché la chetonemia raggiunge livelli plasmatici triplicati rispetto alla chetosi fisiologica (20-25 mmol/dl); ma è bene ricordare che le concentrazioni patologiche di chetoni non si verificano mai nei soggetti sani non diabetici o non alcolisti.
Un altro mito da sfatare riguarda inoltre l’acidificazione del pH ematico. Poiché i corpi chetonici sono degli acidi, nella prima fase della chetosi questi possono provocare una leggera riduzione del pH ematico, che però si stabilizza rapidamente per tornare ai livelli di normalità grazie a meccanismi di controllo a feedback attivati dalla concentrazione di chetoni stessa. Di fatto, l’acidificazione del sangue nella chetosi fisiologica è un effetto transitorio che non deve assolutamente essere confuso con quanto accade in situazioni patologiche, quali diabete e alcolismo.
Quali sono i sintomi?
Avete mai sentito parlare di keto flu? Talvolta durante i primi tre giorni di chetosi, si possono riscontrare sintomi come mal di testa, capogiro e confusione, stanchezza, ipotensione, stitichezza o diarrea, nausea, alitosi. Si tratta di sintomi comuni e transitori perché risposta di adattamento del nostro organismo al regime dietetico. Generalmente sono destinati a passare rapidamente, lasciando spazio a maggiore senso di vitalità ed energia.
Per ridurre al minimo questi fastidi è fondamentale seguire le indicazioni rilasciate in sede di visita dallo specialista. Per ridurre al minimo questi fastidi è importante bere molta acqua, integrare con sali minerali e multivitamico e consumare la verdura concessa.
Si consiglia di evitare in questo periodo di svolgere attività fisica troppo intensa per non interferire con la sintomatologia e per non rischiare di “consumare” il muscolo, è meglio quindi preferire attività di medio-bassa intensità come la camminata, la bicicletta o il nuoto per circa 30-45 minuti al giorno.
Non sembrano invece essere veritiere le preoccupazioni generali in merito i possibili effetti nel lungo termine sull’aumento del rischio cardiovascolare e dell’uricemia. Al contrario, la maggior parte degli studi afferma come a seguito del decremento ponderale e della massa grassa si verifichi un miglioramento metabolico nei parametri ematici di LDL, trigliceridi, e colesterolo totale, con incremento dell’HDL. L’acido urico di per sé potrebbe aumentare transitoriamente, ma per via della competizione con i corpi chetonici nell’escrezione renale, per poi riportarsi nei limiti di norma. Non sono riportate nemmeno evidenze che attestino possibili effetti collaterali di significato clinico nei confronti del potenziale danno renale che le diete chetogeniche (normo proteiche) possano causare.
Quanti kg si perdono?
è possibile perdere da un minimo di 1-2 Kg a un massimo di 2,5 lg a settimana, in base alla risposta individuale dell’organismo allo stato di chetosi. Ogni individuo è a sé per storia del peso, condizione metabolica, sesso, età ecc.
Chi può seguire la dieta chetogenica?
La dieta chetogenica è particolarmente indicata per il trattamento di:
- obesità severa o complicata da ipertensione, diabete di tipo 2, dislipidemia, sindrome metabolica, OSAS, osteopatie o artropatie severe;
- obesità con indicazione alla chirurgia bariatrica;
- pazienti con indicazioni di rapido dimagrimento per severe comorbidità o in vista di interventi chirurgici;
- steatosi epatica non alcolica (NAFLD);
- epilessia farmaco resistente;
- cefalea e patologia emicranica;
- menopausa;
- infertilità maschile o femminile legata all’obesità;
- sindrome dell’ovaio policistico (PCOS).
Studi preliminari inoltre sembrerebbero dimostrare una possibile applicazione della dieta chetogenica anche nel trattamento di patologie neurodegenerative come per esempio l’Alzheimer, il Parkinson e la SLA, dato il possibile ruolo dei corpi chetonici sulla riduzione del danno ossidativo a carico delle cellule nervose. Tuttavia, risulta ancora preliminare parlarne, data la necessità di studi clinici più approfonditi e di lunga durata. Risulta inoltre ancora aperto il dibattito relativo a dieta chetogenica e tumori: è noto che le cellule tumorali abbiamo un metabolismo glucosio-dipendente (effetto Warburg) e che la crescita e la capacità invasiva della neoplasia aumenti in condizione di iperglicemia e iperinsulinemia, allo stesso tempo è anche vero che ridurre le disponibilità degli zuccheri conduca tali cellule a sofferenza. A questo scopo infatti, sono sempre più frequenti gli studi atti a valutare l’efficacia della dieta chetogenica coadiuvata alla chemio-radioterapia, nel trattamento di alcune forme tumorali. Ovviamente si tratta di condizioni tali per cui la dieta chetogenica può essere prescritta esclusivamente da personale medico specializzato dopo attenta valutazione clinica del paziente.
I vantaggi dell’applicazione della dieta chetogenica restano comunque rilevanti, grazie sia la protezione della massa muscolare, sia la riduzione del senso di fame che la rapidità dei risultati (duraturi nel tempo). Tutti elementi che favoriscono la motivazione e la compliance del paziente nel seguire la dieta.
In quali condizioni è assolutamente controindicata?
La dieta chetogenica non è un protocollo alimentare applicabile in tutte le condizioni, è per questo controindicata in caso di:
- gravidanza e allattamento;
- disturbi psichici, comportamentali, da abuso di alcol e altre sostanze;
- disturbi del comportamento alimentare;
- insufficienza renale e/o epatica;
- diabete di tipo 1;
- porfiria;
- angina instabile e/o infarto del miocardio recente;
- disfunzioni genetiche del metabolismo degli acidi grassi o della beta-ossidazione;
- infanzia e adolescenza (salvo casi sopra citati sotto consenso e controllo medico).
Per quanto tempo è possibile seguire un regime chetogenico? come proseguire?
Secondo le linee guida, la dieta chetogenica non può essere protratta all’infinito nel tempo, ma per un periodo variabile dalle 3-4 alle 12-16 settimane, con una modalità di aderenza continuativa o intermittente a seconda dell’indicazione clinica.
Al termine della fase chetogenica è fondamentale la fase di transizione, ovvero di guida al reinserimento dei carboidrati, con un passaggio graduale sia quantitativo che qualitativo nella reintroduzione di quegli alimenti che li contengono.
È necessario che il paziente sia guidato dallo specialista medico e/o nutrizionista di riferimento, con un percorso di visite e controlli cadenzati che preveda il monitoraggio dei parametri ematici, fisici e psichici dello stesso.
Non è possibile pensare di sottoporsi a tale dieta senza portare in visione referti medici, analisi del sangue complete, trattamenti farmacologici in atto. Cosi come non è possibile effettuare la transizione da soli, poiché se i carboidrati vengono reintrodotti in maniera brusca si assisterebbe ad un transitorio squilibrio ormonale dagli effetti indesiderati, tra cui improvviso aumento di peso.
Durante la chetosi, il nostro organismo subisce un adattamento: gli enzimi deputati al metabolismo degli zuccheri si riducono, così come aumentano quelli coinvolti nel metabolismo dei grassi. Reintrodurre rapidamente i carboidrati provocherebbe oscillazioni glicemiche e insulinemiche, con alternanza transitoria di picchi iperglicemici e ipoglicemici.
Il corpo ha quindi bisogno di riabituarsi agli zuccheri, per questo la fase transizione generalmente dura tanto quanto la fase di chetosi. Come accennato, la reintroduzione dei carboidrati e al contempo anche delle calorie, deve essere progressiva sia nelle quantità (da aumentare di settimana in settimana a seconda del paziente), che nella qualità (si inizia con alimenti a basso indice glicemico e con i legumi), sino al raggiungimento della fase di mantenimento in cui il paziente sarà indirizzato ad un corretto stile alimentare che sia sostenibile nel lungo periodo, senza rischio di ripresa del peso perso.
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